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Depenalizzazione atto medico. Amsi, Umem e Uniti per Unire: “Il 97% delle denunce sono archiviate, ma provocano stress e sofferenze nei professionisti sanitari”

Aodi: “Combattiamo da tempo la medicina difensiva, che comporta enormi costi per il Ssn (15 miliardi all’anno), specie nei reparti di emergenza-urgenza, con situazione peggiorata dopo il Covid e con esami spesso inutili”.

Amsi (Associazione Medici di Origine Straniera in Italia), Umem (Unione Medici Euromediterranei) e il Movimento Internazionale Uniti per Unire seguono con attenzione le decisioni del Governo in merito alla riforma per la depenalizzazione dell’atto medico, con le nuove regole che puntano a dare maggiore serenità al professionista ma piena tutela giuridica al paziente.

Di seguito il parere del professor Foad Aodi, esperto in salute globale, presidente di Amsi e del Movimento Uniti per Unire, nonché docente di Tor Vergata e membro del Registro Esperti della Fnomceo dal 2002, già quattro volte consigliere dell’Ordine dei medici di Roma e direttore sanitario del Centro Medico Iris Italia, che rimanda al mittente le accuse di scarsa competenza rivolte ai professionisti della sanità di origine straniera.

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“Sin dal primo giorno della nostra nascita, portiamo avanti questa battaglia per la depenalizzazione dell’atto medico, dal momento che la medicina difensiva comporta al Servizio Sanitario Nazionale spese ingenti, in particolar modo nei pronto soccorsi e nei reparti di emergenza-urgenza. Il professionista sanitario può e deve lavorare in modo più sereno, va tutelato, così come merita tutela giuridica il paziente.

La medicina difensiva costa al Servizio Sanitario Nazionale qualcosa come 15 miliardi all’anno, specialmente nei reparti di emergenza-urgenza, con la situazione peggiorata dopo il Covid. La medicina difensiva è piena zeppa di esami inutili e spesso non consoni. Ed è su queste basi così negative che confidiamo nel fatto che il Governo cambi le regole, con una riforma ad hoc.

Il quadro della riforma della responsabilità medica è pronto. Elaborato dalla commissione del Ministero della Giustizia guidata dal magistrato Adelchi D’Ippolito, doveva uscire ad aprile ma c’è stato un ritardo fisiologico di un mese. Occorre tutelare maggiormente i camici bianchi, lo ripetiamo da tempo, che non possono lavorare nell’ansia e nella paura delle denunce facili.

Un Paese che non tutela il suo personale sanitario è un Paese che rischia di acuire la crisi della propria sanità, favorendo la fuga all’estero dei professionisti. Occorrono tanti medici di base che mancano all’appello, è vero, ma ciò su cui siamo più carenti sono i professionisti specializzati. I medici del pronto soccorso, i medici delle emergenze non ci sono, e questo causa una elevata crescita della sfiducia della popolazione nei confronti del personale sanitario. E poi mancano all’appello le figure più specializzate, per coprire quei reparti che sono a rischio chiusura, come chirurghi, pediatri, anestesisti, gli stessi farmacisti, ortopedici, ginecologi, psicologi.

In riferimento al rapporto Anac del 15 febbraio sul ricorso a medici e infermieri gettonisti, relativo a settembre 2023, è stato il nostro ministro Schillaci a elencare le spese delle Regioni, tutte coinvolte nel fenomeno, a eccezione della Provincia autonoma di Trento.

Dall’analisi territoriale sulla spesa effettivamente sostenuta dalle stazioni appaltanti nel periodo 2019-2023 emerge che le Regioni impegnate dal punto di vista economico sono la Lombardia (56 milioni), l’Abruzzo (51 milioni) e il Piemonte (34 milioni), con valori nettamente superiori a quelli registrati dalle altre.

Stress, denunce facili e violenze contro gli operatori sanitari in Italia non aiutano certo la nostra sanità a migliorare, ed è per questo che tanti medici lasciano la sanità pubblica, tornano alla libera professione, rinunciano alle specializzazioni e aumentano vertiginosamente i medici gettonisti che servono a colmare le carenze di personale, ma costano alle regioni molto di più rispetto a un medico regolarmente assunto a contratto.

Grazie al Decreto Cura Italia abbiamo evitato la chiusura di 1.800 strutture, senza dimenticare che in Italia ci sono anche 100mila professionisti sanitari di origine straniera che rappresentano una risorsa da valorizzare, da inserire a pieno regime nel nostro sistema, contro cui troppo spesso si manifestano discriminazioni che non hanno alcuna motivazione.

Per loro, e per i medici italiani, vanno migliorate le remunerazioni della sanità pubblica, altrimenti si rischia seriamente di perdere ogni anno qualcosa come 25mila medici in fuga verso i Paesi del Golfo e verso quelle nazioni come Belgio, Regno Unito, Germania, Norvegia che hanno alzato la posta delle loro offerte economiche per i nostri professionisti, ambiti e ricercati per le loro elevate competenze.

La strada della prevenzione e dell’informazione sono il percorso da compiere da parte della politica nazionale, quella che potremmo chiamare una buona politica sanitaria, quella che chiediamo da tempo.
Combattere le denunce facili è la nostra battaglia da tempo, ma deve essere anche quella delle istituzioni: denunce che spesso avvengono per l’intrusione di terze persone, il cui scopo in larga parte di avere un tornaconto.

Occorre intervenire sulla figura del consulente tecnico. Spesso risulta il vero giudice della controversia. Occorre un processo di responsabilizzazione dei CTU. Dunque, deve avere i requisiti dei giudici, tra cui assicurare la terzietà rispetto alle posizioni delle parti in causa.

Pensiamo inoltre di introdurre la rotazione, un criterio di trasparenza in ogni atto della Pubblica Amministrazione, così da evitare che si formino squadre consulente-pubblico ministero dove il consulente – consapevole o no – possa correre il rischio di compiacere il piemme e seguirne l’ipotesi accusatoria. Vogliamo un consulente autenticamente e sinceramente libero, in grado di dire al pubblico ministero che le risultanze possono essere di segno diverso all’ipotesi investigativa.

La rotazione garantisce neutralità assoluta di parti animate dall’unico denominatore del desiderio assoluto della ricerca della verità. La depenalizzazione dell’atto medico potrebbe convincere molti medici a tornare sui propri passi e a non lasciare il nostro sistema sanitario.

La riforma sulla depenalizzazione dell’atto medico, insieme ad una valorizzazione economica indispensabile per i camici bianchi, combattendo i turni massacranti, la disorganizzazione e favorendo lo sviluppo delle carriere, eliminare le aggressioni alla radice, possono cambiare volto alla nostra sanità e mettere nella condizione tanti medici di lavorare per la tutela della salute dei pazienti”.

Redazione InfoNurse

Fonte: Nurse Times

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