Finora la campagna vaccinale anti-COVID nel nostro Paese ha dovuto scontare gravissimi ritardi organizzativi come pure una certa confusione sulle priorità da seguire. Un caso singolare è quello costituito dai cittadini nella fascia di età 70-79 anni: pur essendo i più colpiti dalla mortalità per Covid, sono stati finora i meno vaccinati. Un paradosso che fa davvero riflettere.
Lo sottolinea il centro studi ImpresaLavoro dell’imprenditore Massimo Blasoni, analizzando i dati del Ministero della Salute sulle vaccinazioni finora somministrate: appena 148.137 nella fascia di età 70-79, a fronte delle 399.249 nella fascia di età 20-29 e delle 580.145 nella fascia di età 30-39 anni. Elaborando i dati dell’Istituto Superiore di Sanità, si osserva inoltre come nelle coorti 20-29 anni e 30-39 anni la mortalità sia stata finora appena lo 0,1% del totale dei contagiati, con rispettivamente 45 e 174 decessi dall’inizio della pandemia. Analizzando invece i cittadini nella fascia d’età 70-79 anni, si registra al contrario una mortalità del 24,3% sul totale dei contagiati, con complessivi 21.398 decessi.
È vero che buona parte delle somministrazioni a persone relativamente giovani sono state fatte a personale sanitario e anche agli amministrativi del comparto, tuttavia il dato colpisce. In Germania, ad esempio, si è preferito anteporre gli anziani in grave rischio di salute agli amministrativi di ospedali e ospizi che non fossero direttamente a contatto con i degenti. «Il personale medico e infermieristico va ovviamente tutelato» sottolinea l’imprenditore Massimo Blasoni. «Una rimodulazione anche solo parzialmente diversa delle priorità potrebbe però ridurre i decessi: in buona sostanza il numero dei morti sarebbe oggettivamente più basso se si concentrassero le vaccinazioni nelle fasce d’età che attualmente registrano il più alto tasso di mortalità».
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