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Disuguaglianze Nord-Sud in sanità accentuate dall’autonomia differenziata: i dati del report Svimez

Al Sud peggiori condizioni sanitarie, meno prevenzione e mortalità per tumori più elevata. È fuga dal Mezzogiorno per curarsi. Mobilità oncologica a lungo raggio al 43% in Calabria. Autonomia differenziata aggrava le diseguaglianze Nord-Sud.

Il sistema sanitario è caratterizzato da gravi disparità regionali, con il Mezzogiorno che soffre di significative carenze rispetto al Centro e al Nord. Queste disuguaglianze nel diritto alla salute sono state evidenziate da un recente report Svimez, che mette in guardia sul rischio di un ulteriore aumento delle disparità con l’attuazione dell’autonomia differenziata.

Il contesto delle disuguaglianze nel sistema sanitario italiano

Il report Svimez, intitolato “Un Paese, due cure. I divari Nord-Sud nel diritto alla salute”, offre una panoramica dettagliata delle disuguaglianze territoriali nel sistema sanitario italiano. Secondo il report, le regioni del Mezzogiorno presentano servizi di prevenzione e cura più carenti, una minore spesa pubblica sanitaria e distanze più lunghe da percorrere per ricevere assistenza, soprattutto per le patologie gravi. Queste disparità sono evidenti già dalla nascita, con un tasso di mortalità infantile significativamente più alto al Sud rispetto al Centro e al Nord.

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Cause delle disparità nel sistema sanitario

Le cause delle disparità nel sistema sanitario italiano sono molteplici e complesse. Innanzitutto il finanziamento pubblico per la sanità è inferiore al Sud rispetto al Centro e al Nord, con una media di spesa per abitante significativamente più bassa nelle regioni meridionali. Questo si riflette nella minore disponibilità di risorse e infrastrutture sanitarie al Sud, contribuendo alla mancanza di accesso equo alle cure e alla maggiore prevalenza di patologie gravi.

Inoltre vi è una tendenza alla fuga dal Sud verso il Centro e il Nord per ricevere assistenza sanitaria migliore, soprattutto per le patologie oncologiche e pediatriche. Questo fenomeno accentua ulteriormente le disparità regionali nel sistema sanitario italiano, creando un circolo vizioso di sottosviluppo al Sud.

Dopo l’emergenza Covid-19 si arresta la crescita della spesa sanitaria e restano ampi i divari territoriali 
Questi sono aumentati in un contesto di generalizzata debolezza del sistema sanitario, che nel confronto europeo risulta sottodimensionato per stanziamenti di risorse pubbliche (in media 6,6% del PIL contro il 9,4% di Germania e l’8,9% di Francia), a fronte di un contributo privato comparativamente elevato (24% della spesa sanitaria complessiva, quasi il doppio di Francia e Germania).

Dai dati regionalizzati di spesa sanitaria risultano livelli di spesa per abitante, corrente e per investimenti, mediamente più contenuti nelle regioni meridionali. A fronte di una media nazionale di 2.140 euro, la spesa corrente più bassa si registra in Calabria (1.748 euro), Campania (1.818 euro), Basilicata (1.941 euro) e Puglia (1.978 euro).

Per la parte di spesa in conto capitale, i valori più bassi si ravvisano in Campania (18 euro), Lazio (24 euro) e Calabria (27 euro), mentre il dato nazionale si attesta su una media di 41 euro. Il monitoraggio Lea (livelli essenziali di assistenza), che offre un quadro delle differenze nell’efficacia e qualità delle prestazioni fornite dai diversi Ssr, fa emergere i deludenti risultati del Sud: cinque regioni del Mezzogiorno risultano inadempienti. 

1,6 milioni di famiglie italiane in povertà sanitaria, di cui 700mila al Sud

In base alle recenti valutazioni del CREA (Centro per la ricerca economica applicata in sanità), sono il 6,1% le famiglie italiane in povertà sanitaria, perché hanno riscontrato difficoltà o hanno rinunciato a sostenere spese sanitarie. Nel Mezzogiorno la quota la povertà sanitaria riguarda l’8% dei nuclei familiari, una percentuale doppia rispetto al 4% del Nord-Est (5,9% al Nord-Ovest, 5% al Centro).

Speranza di vita minore al Sud di 1,5 anni: più alta anche la mortalità per tumore

Il Mezzogiorno, secondo gli indicatori BES (Benessere equo e sostenibile) sulla salute, è l’area del Paese caratterizzata dalle peggiori condizioni di salute. Gli indicatori relativi alla speranza di vita mostrano un differenziale territoriale marcato e crescente negli anni: nel 2022, la speranza di vita alla nascita per i cittadini meridionali era di 81,7 anni, 1,3 anni in meno del Centro e del Nord-Ovest, 1,5 rispetto al Nord-Est.

Analoghi differenziali sfavorevoli al Sud si osservano per la mortalità evitabile causata da deficit nell’assistenza sanitaria e nell’offerta di servizi di prevenzione. Il tasso di mortalità per tumore è pari al 9,6 per 10 mila abitanti per gli uomini rispetto a circa l’8 del Nord. È cresciuto il divario per le donne: 8,2 al Sud con meno del 7 al Nord; nel 2010 i due dati erano allineati.

Nel Mezzogiorno meno prevenzione oncologica

Secondo le valutazioni dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss), nel biennio 2021-2022, in Italia circa il 70% delle donne di 50-69 anni si è sottoposta ai controlli: circa due su tre lo ha fatto aderendo ai programmi di screening gratuiti. La copertura complessiva è dell’80% al Nord, del 76% al Centro, ma scende ad appena il 58% nel Mezzogiorno. La prima regione per copertura è il Friuli-Venezia Giulia (87,8%); l’ultima è la Calabria, dove solamente il 42,5% delle donne di 50-69 anni si è sottoposto ai controlli.

I dati relativi agli screening organizzati dai Ssr confermano i profondi divari regionali nell’offerta di servizi che dovrebbero essere garantiti in maniera uniforme in quanto compresi tra i Lea. La quota di donne che ha avuto accesso a screening organizzati oscilla tra valori compresi tra il 63 e il 76% in Veneto, Toscana, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, P.A. di Trento, Umbria e Liguria e circa il 31% in Abruzzo e Molise. Le quote più basse si registrano in Campania (20,4%) e in Calabria, dove le donne che hanno effettuato screening promossi dal Servizio Sanitario sono appena l’11,8%, il dato più basso in Italia.

Mobilità sanitaria: è fuga dal Mezzogiorno, in particolare per le patologie più gravi. Il 22% dei malati oncologici del Sud si fa curare al Nord

La “fuga” dal Sud per ricevere assistenza in strutture sanitarie del Centro e del Nord, soprattutto per le patologie più gravi. Nel 2022, dei 629 mila migranti sanitari (volume di ricoveri), il 44% era residente in una regione del Mezzogiorno. Per le patologie oncologiche, 12.401 pazienti meridionali, pari al 22% del totale dei pazienti, si sono spostati per ricevere cure in un Ssr del Centro o del Nord nel 2022. Solo 811 pazienti del Centro-Nord (lo 0,1% del totale) hanno fatto il viaggio inverso.

È la Calabria a registrare l’incidenza più elevata di migrazioni: il 43% dei pazienti si rivolge a strutture sanitarie di Regioni non confinanti. Seguono Basilicata (25%) e Sicilia (16,5%). Al Sud, i servizi di prevenzione e cura sono dunque più carenti, minore la spesa pubblica sanitaria, più lunghe le distanze da percorrere per ricevere assistenza. 

Save the Children evidenzia numeri crescenti anche nelle migrazioni sanitarie pediatriche dal Sud verso il Centro-Nord, segno di carenze o di sfiducia nel sistema sanitario delle regioni del Mezzogiorno: l’indice di fuga – ovvero il numero di pazienti pediatrici che vanno a farsi curare in una regione diversa da quella di residenza – nel 2020 si attesta  in media all’8,7% a livello nazionale, con differenze territoriali che vanno dal 3,4% del Lazio al 43,4% del Molise, il 30,8% della Basilicata, il 26,8% dell’Umbria e il 23,6% della Calabria.

In particolare, un terzo dei bambini e degli adolescenti si mette in viaggio dal Sud per ricevere cure per disturbi mentali o neurologici, della nutrizione o del metabolismo nei centri specialistici convergendo principalmente a Roma, Genova e Firenze, sedi di Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (Irccs) pediatrici.

L’autonomia differenziata e il rischio di accentuazione delle disuguaglianze

L’autonomia differenziata, se attuata senza un’adeguata pianificazione e regolamentazione, potrebbe aggravare ulteriormente le disuguaglianze nel sistema sanitario italiano. Secondo il report Svimez, l’autonomia differenziata potrebbe portare a una maggiore differenziazione territoriale delle politiche pubbliche in ambito sanitario, con il rischio di aumentare la sperequazione finanziaria tra le regioni e ampliare le disuguaglianze nell’accesso alle cure.

In particolare, l’autonomia differenziata potrebbe consentire alle Regioni con maggiore autonomia di aumentare la spesa sanitaria e migliorare l’accesso alle cure, mentre le Regioni con minori risorse potrebbero trovarsi in una situazione di svantaggio ancora maggiore. Questo potrebbe portare a una frammentazione del sistema sanitario italiano e a una maggiore disuguaglianza nell’accesso alle cure, con gravi conseguenze per la salute dei cittadini, soprattutto al Sud.

Il sistema sanitario italiano si trova di fronte a sfide significative legate alle disuguaglianze regionali nel diritto alla salute. Il Mezzogiorno, in particolare, soffre di gravi carenze di risorse e infrastrutture sanitarie, contribuendo a una maggiore prevalenza di malattie gravi e a una minore speranza di vita rispetto al Centro e al Nord.

L’attuazione dell’autonomia differenziata potrebbe dunque aggravare ulteriormente queste disuguaglianze, portando a una maggiore differenziazione territoriale delle politiche pubbliche in ambito sanitario e a una maggiore sperequazione finanziaria tra le regioni. È fondamentale adottare misure concrete per garantire un accesso equo alle cure in tutto il Paese e per ridurre le disparità regionali nel sistema sanitario italiano.

Redazione InfoNurse

Fonte: Nurse Times

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