Gli anticorpi Covid persistono nel sangue per almeno 8 mesi

Gli anticorpi neutralizzanti contro SARS-CoV-2 persistono nei pazienti sintomatici fino ad almeno 8 mesi dopo la diagnosi di Covid-19, indipendentemente dalla gravità della malattia, dall’età dei pazienti o dalla presenza di altre patologie.

Non solo, la loro presenza precoce è fondamentale per combattere l’infezione con successo: chi non riesce a produrli entro i primi 15 giorni dal contagio è a maggior rischio di morte da Covid-19.

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Sono questi i due risultati principali di una ricerca dell’IRCCS Ospedale San Raffaele, coordinata da Gabriella Scarlatti, responsabile dell’Unità di Evoluzione e Trasmissione Virale condotta in collaborazione con i ricercatori del Diabetes Research Institute diretto da Lorenzo Piemonti e con Andrea Cara e Donatella Negri dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS).

Lo studio, pubblicato oggi su Nature Communications, è il primo a mappare in modo così esaustivo l’evoluzione nel tempo della risposta anticorpale al Covid-19 e fornisce importanti indicazioni per:

la gestione clinica della malattia, attraverso il riconoscimento dei pazienti a maggior rischio di forme gravi;
il contenimento epidemiologico della pandemia.


Lo studio è stato condotto seguendo nel tempo 162 pazienti positivi a SARS-CoV-2, con sintomi di entità variabile, che si sono presentati al pronto soccorso dell’Ospedale San Raffaele durante la prima ondata della pandemia in Italia. I primi campioni di sangue sono stati raccolti al momento della diagnosi e risalgono a marzo-aprile 2020.

Il 67% dei pazienti arruolati nello studio erano maschi, con un’età media di 63 anni. Il 57% soffriva di una seconda patologia oltre al Covid-19 al momento della diagnosi:

  • l’ipertensione (44%);
  • il diabete (24%) le più frequenti.


Su 162 pazienti, 134 sono stati ricoverati.

Oltre agli anticorpi contro SARS-CoV-2, i ricercatori hanno indagato anche la riattivazione degli anticorpi per i coronavirus stagionali nei pazienti (quelli responsabili del classico raffreddore) con l’obiettivo di verificare il loro impatto sulla risposta contro SARS-CoV-2.

“Gli anticorpi per i coronavirus stagionali riconoscono parzialmente il nuovo coronavirus e possono riattivarsi a seguito del contagio, pur non essendo efficaci nel neutralizzarlo – spiega Gabriella Scarlatti -. Il timore era che la loro espansione potesse rallentare la produzione degli anticorpi neutralizzanti specifici per SARS-CoV-2, con effetti negativi sul decorso dell’infezione”.

Secondo i dati analizzati dai ricercatori del San Raffaele, tuttavia, la riattivazione di anticorpi pre-esistenti per i coronavirus stagionali non ha alcuna influenza nel ritardare la produzione degli anticorpi specifici per SARS-CoV-2 e non è quindi associata a maggior rischio di decorsi gravi del Covid-19.

Contrariamente a quanto emerso da studi precedenti, la presenza precoce di anticorpi neutralizzanti contro SARS-CoV-2 è, invece, effettivamente correlata a un migliore controllo del virus e a una maggiore sopravvivenza dei pazienti.

Per fortuna questo è vero nella maggior parte dei casi: il 79% dei pazienti arruolati ha prodotto con successo questi anticorpi entro le prime due settimane dall’inizio dei sintomi.

Chi non ci è riuscito è risultato a maggior rischio per le forme gravi, indipendentemente da altri fattori come l’età o lo stato di salute.

“Lo studio della risposta anticorpale contro SARS-CoV-2– spiega Vito Lampasona del Diabetes Research Institute – rivela la complessità dell’interazione tra il virus e il sistema immunitario, uno degli elementi che determina la diversa gravità con cui la malattia si manifesta nel singolo paziente”.

Allo stesso tempo, la presenza degli anticorpi neutralizzanti, pur riducendosi nel tempo, è risultata molto persistente: a 8 mesi dalla diagnosi erano solo 3 i pazienti che non mostravano più positività al test.

La persistenza di questi anticorpi per almeno 8 mesi è indipendente da:

  • età dei pazienti
  • presenza di altre patologie.

Quanto abbiamo scoperto ha delle implicazioni nella gestione clinica della malattia del singolo paziente e nel contenimento della pandemia.

Secondo i nostri risultati, infatti, i pazienti incapaci di produrre anticorpi neutralizzanti entro la prima settimana dall’infezione andrebbero identificati e trattati precocemente, in quanto ad alto rischio di sviluppare forme gravi di malattia – afferma Gabriella Scarlatti -.

Gli stessi risultati ci danno però anche due buone notizie:

la protezione immunitaria conferita dall’infezione persiste a lungo;
la presenza di una memoria anticorpale precedente per i coronavirus stagionali non costituisce un ostacolo alla produzione di anticorpi contro SARS-CoV-2.


Il prossimo step? Capire se queste risposte efficaci sono mantenute anche con la vaccinazione e soprattutto contro le nuove varianti circolanti, cosa che stiamo già studiando in collaborazione con i colleghi del ISS”.

Autore: Giovanni Maria Scupola

Fonte: Nurse Times

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