Nursing Up: “Cardarelli di Napoli e Sant’Andrea di Roma, è qui l’inferno degli infermieri”

Riceviamo e pubblichiamo un comunicato a cura del presidente Antonio De Palma (foto).

Numeri drammatici e report da bollettino di guerra. Un vero e proprio inferno quotidiano, quello che vivono gli infermieri laziali e campani, in quelli che possono essere considerati, senza esagerazione, tra i due ospedali italiani con il maggior numero di aggressioni fisiche perpetrate ai danni dei nostri operatori sanitari. Stiamo parlando del Cardarelli di Napoli e del Sant’Andrea di Roma.

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Oltre 50 episodi di violenza all’anno si registrano nel nosocomio partenopeo, che copre una portata di pazienti enorme e da anni vive la triste realtà di una struttura vetusta, disorganizzata e priva di personale sufficiente, con una voragine di infermieri mai sanata, e precariato all’ordine del giorno. E ripetiamo, ci riferiamo solo ai casi ufficiali, quelli che vengono raccontati e denunciati ai nostri responsabili regionali, che poi sono quelli che vengono accompagnati da un triste referto medico, perché le botte subite lasciano il segno nel corpo e nella mente.

Non si sta meglio nella capitale, dove il Sant’Andrea balza troppo spesso agli onori della cronaca, e dove, solo pochi giorni fa, il 10 dicembre, un infermiere è stato colpito violentemente in pieno volto per ben due volte con un plico contenente documenti, aggredito da una paziente stanca dei tempi di attesa, mentre lo scorso 18 ottobre, incredibilmente, sempre una donna in attesa di cure, l’ennesima in preda a un raptus di follia inspiegabile, e sempre stremata da ore trascorse nel pronto soccorso, ha addirittura tentato di strangolare un’infermiera dopo averle strappato i capelli. Delirio allo stato puro.

Al Cardarelli, invece, è drammatica consuetudine che quando muore un paziente, con i parenti in attesa nel Pronto soccorso, con l’uomo o la donna di turno che arrivano già in condizioni critiche, accada l’incredibile: interi componenti familiari si scatenano in raid punitivi, prendendo di mira gli infermieri di turno, considerati come i massimi responsabili del decesso del loro congiunto. Un clima da film western o da poliziesco anni Settanta, dove il cittadino si faceva giustizia da solo. L’unica differenza è che questa è la triste realtà, e che gli infermieri non sono certo i criminali di turno da punire, ma sono professionisti valenti che fanno di tutto per salvare vite umane, troppo spesso vittime di una carenza di personale, da noi più volte denunciata, che tocca l’acme nei “malandati” pronto soccorso di casa nostra, dove un solo operatore sanitario si ritrova spesso, nel triage di un pronto intervento, a doversi occupare da solo anche di dieci pazienti.

Le notizie di cronaca riempiono quasi ogni giorno le pagine dei quotidiani locali. E ripetiamo, stiamo parlando solo dei casi ufficiali, quei pochi che i nostri professionisti hanno il coraggio di denunciare, poiché tristemente, ce lo riferiscono i nostri coordinatori regionali, si registra da troppo tempo una pericolosa paura nel raccontare le aggressioni e le intimidazioni, anche verbali, subite. 

Qui a Roma, monitoriamo da tempo la situazione dell’ospedale Sant’Andrea, con il suo enorme bacino di utenza. Anche qui i numeri ufficiali parlano di circa 50 aggressioni fisiche “ufficiali” all’anno ai danni degli infermieri, con referti che vanno da una settimana a oltre 30 giorni. Pugni in pieno volto, calci, capelli strappati, addirittura oggetti contundenti come sedie o sgabelli in testa o nella schiena. Veri e propri raptus inspiegabili. I numeri, però, siamo certi, sono molto più alti. 

Il nostro sindacato denuncia da tempo la mancanza dei presidi di pubblica sicurezza da Nord a Sud e racconta, attraverso campagne di sensibilizzazione che hanno coinvolto anche personaggi pubblici, che non solo gli infermieri non possono essere considerati come il capro espiatorio delle lacune degli ospedali, ma soprattutto occorre sanare alla radice il clima di “malacultura” che vede nell’infermiere come la causa scatenante dei disservizi, dei ritardi, delle lunghe file nei pronti soccorsi, restituendo ai nostri professionisti l’immagine legittima che gli compete.

Lo abbiamo sempre detto e non smetteremo di denunciare a Governo e Regioni quanto accade, tornando a manifestare, se necessario, nelle piazze italiane, come abbiamo già fatto, il nostro pieno di diritto a essere tutelati sul posto di lavoro. Abbiamo alzato la voce e continueremo a farlo contro leggi inefficaci, che non servono affatto da deterrente, dal momento che puniscono l’aggressore solo a fatti tristemente avvenuti.

I numeri evidenziano l’inesorabile aggravarsi della situazione. Le aggressioni sul posto di lavoro colpiscono in media in un anno un terzo dei professionisti sanitari, il 33%, ovvero circa 130mila casi, con un “sommerso” non denunciato all’Inail di circa 125mila casi ogni dodici mesi. E sono rilevanti le conseguenze fisiche, psicologiche ed economiche. Un dato che desta ulteriore apprensione è che il 75% delle aggressioni riguarda le donne, le nostre infermiere.

In questo marasma, in questo clima drammatico e surreale, ecco che Cardarelli e Sant’Andrea, con cifre decisamente sottostimate legate agli episodi di violenza fisica e verbale, balzano ai primissimi posti in Italia e detengono la triste maglia nera di ospedali dove regna un vero e proprio clima infernale. Ma la cosa più grave è che siamo di fronte a un’inspiegabile assuefazione alla violenza, che certamente mina la serenità di uomini, donne, padri e madri di famiglia, prima che valenti infermieri. 

Insomma, i nostri professionisti, in preda alla paura, lasciano troppo spesso che tutto rimanga nel silenzio assoluto. Non possiamo arrenderci, non dobbiamo. E pertanto non solo continueremo a raccontare all’opinione pubblica quanto accade, ma non smetteremo, da una parte di denunciare alle istituzioni quello che appare come un pericoloso lassismo nei confronti di una piaga rispetto alla quale si continua a far tanto parlare (ma non si agisce di polso). Dall’altra parte continueremo a invitare gli infermieri a non arrendersi, a non lasciare che paura e violenza abbiano la meglio, a non avere timore di raccontarci quanto accade, arrivando a denunciare quelle aziende sanitarie che non adottano strumenti organizzativi  atti a tutelare  la sicurezza dei propri operatori, quando esistono le condizioni, come responsabili indirette di episodi vergognosi che non sono degni di un paese civile. Dobbiamo davvero abituarci a tutto come questo come fosse la normalità? Assolutamente no!

Redazione InfoNurse

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