Il recente intervento del nostro ministro della Salute, Orazio Schillaci, a Bari, sulla ferma volontà del Governo di risanare e soprattutto revisionare il nostro vetusto sistema sanitario, non può che accogliere ad oggi il nostro pieno consenso, dal momento che finalmente il ministro parla apertamente di deficit di professionisti sanitari legato alla carenza di infermieri.
Tuttavia lo stesso Schillaci ammette apertamente che, al momento, non c’è altra soluzione per sanare la cronica carenza di personale che affidarsi ai professionisti stranieri provenienti da Paesi con cui stiamo chiudendo accordi da tempo, come avvenuto con l’India o con l’America Latina nel caso della Lombardia, nel progetto fortemente voluto dall’assessore al Welfare, Guido Bertolaso.
Al contempo non può lasciarci indifferenti lo scandalo che ha travolto negli ultimi giorni il Regno Unito, con le centinaia di infermiere e ostetriche nigeriane che, in mancanza di requisiti, avrebbero falsificato il risultato dell’esame di idoneità per equiparare il proprio titolo di studio a quello del Paese di destinazione, e quindi avere la possibilità di emigrare.
Ebbene, lo Stato, attraverso il Decreto Bollette, ha voluto dare risposta alla crisi di professionisti, prolungando norme introdotte dai Decreti Covid del 2020, e quindi consentendo alle strutture sanitarie di utilizzare “in deroga” fino al 31/12/2025 personale sanitario (infermieri, medici, ecc.) che ha conseguito il titolo in paesi esteri. Questo è accaduto in particolare per i professionisti provenienti dall’Ucraina in fuga dal proprio Paese.
Suscita più di una perplessità la decisione di inserire la possibilità di esercitare la professione infermieristica per i professionisti stranieri in deroga all’iscrizione all’albo professionale fino al 31 dicembre 2025, e la correlata possibilità di ottenere il riconoscimento del solo titolo di Studio. Tale previsione, originariamente pensata nel periodo pandemico, ha la finalità di arruolare quanto più velocemente possibile personale nelle nostro strutture sanitarie.
Per “riconoscimento in deroga” si intende l’atto rilasciato da ciascuna Regione e Provincia autonoma, in esito a un procedimento amministrativo con il quale viene attestato il possesso da parte degli interessati dei requisiti che consentono l’esercizio temporaneo, sul territorio, delle qualifiche professionali sanitarie o della qualifica di operatore socio-sanitario, in deroga alle norme sul riconoscimento delle predette qualifiche professionali.
Il “riconoscimento in deroga” regionale o provinciale, pertanto, non sostituisce né si sovrappone parzialmente al decreto di riconoscimento di un titolo di studio sanitario conseguito in un Paese comunitario o extracomunitario, ai fini dell’esercizio in Italia dell’attività professionale, rilasciato dal ministero della Salute, che consente la regolare iscrizione all’Ordine professionale di riferimento.
Se non era conforme, il professionista era tenuto a sostenere degli esami per compensare. Ora è sufficiente che il richiedente presenti una copia autenticata del titolo conseguito all’estero e del certificato di iscrizione al corrispettivo del loro ordine professionale e lo presenti presso un ufficio regionale per vedersi automaticamente concessa la possibilità di poter esercitare la delicata professione sanitaria sul nostro territorio.
A questo punto sarebbe opportuno che lo stesso ministro Schillaci tenga ben presente il recente monito del ministro degli Esteri, Tajani. La revisione del nostro sistema sanitario, con tutto il rispetto per gli infermieri stranieri, non può che partire da una rigorosa valorizzazione economico-contrattuale dei nostri professionisti dell’assistenza.
Le parole “rinascita” e “ricostruzione” non possono non essere direttamente correlate ad azioni concrete finalizzate ad arginare la fuga all’estero e le dimissioni volontarie dei nostri infermieri, la categoria professionale che nei numeri, sia chiaro una volta per tutte, è quella numericamente più carente.
L’esempio di quanto avvenuto in Lombardia, con gli infermieri sudamericani, che da dicembre scorso hanno già preso servizio in alcune aziende sanitarie locali, dopo sole quattro settimane di corso di lingua italiana, non può che provocare in noi profonda preoccupazione.
Immaginate i primi giorni di lavoro, con tutto il rispetto, di questi professionisti: immaginateli davanti al registro delle prescrizioni scritto in italiano, per dar corso alle terapie, maneggiare farmaci italiani e gestire il relativo dosaggio: provate a pensare quali potrebbero essere le loro difficoltà.
Inoltre un’ulteriore riflessione è doverosa: le eventuali lacune linguistiche o medico-scientifiche del collega straniero, su chi ricadrebbero, nell’ambito del lavoro di una equipe sanitaria, se non sul collega di turno? E quali sarebbero le conseguenze per la qualità della salute della collettività, di fronte a professionisti stranieri dalla dubbia formazione?
Lo stesso Schillaci, tuttavia, dovrebbe, come suggerito anche dal ministro Tajani, cominciare seriamente a prendere in considerazione il fatto che, solo investendo nelle risorse umane a nostra disposizione, si potrà davvero cominciare a parlare, nei fatti, di revisione e rilancio del nostro sistema sanitario.
Non è certo tappando le falle con i professionisti stranieri (il cui titolo di studio va naturalmente sottoposto a rigorosi controlli per evitare il ripetersi di scandali come quelli avvenuti per le infermiere nigeriane destinate al Regno Unito) che si concretizzerà quel salto di qualità che la sanità italiana e soprattutto i cittadini attendono da tempo.
Redazione InfoNurse
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