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Pronto soccorso: L’importanza degli infermieri per ridurre i ricoveri e gli accessi

La Spezia – “Nel complesso contesto della nostra sanità locale, caratterizzato da situazioni certamente migliorabili, ma soprattutto reso ancor più difficile da quotidiane strumentalizzazioni ”sul tutto”, abbiamo sentito affermazioni, anche di recente, un po’ confuse su due strategie di impiego della moderna figura dell’infermiere che meritano di essere chiarite.

Prima di tutto, abbiamo ascoltato in recenti dibattiti alcuni politici che ritenevano inutile un reparto a gestione infermieristica. Francamente non vogliamo ribattere con punti di vista od opinioni, ma con i fatti”. Lo afferma la segreteria dell’Ordine professionale degli infermieri della Spezia.
Al Galliera infatti questo reparto, che esiste dal 2017, ha permesso di ”liberare” posti letto e soprattutto, lo ha fatto assistendo malati in procinto di essere dimessi, ma non ancora pronti a restare soli al domicilio: in questo modo ha impedito casi di reingresso in ospedale.
“Si tratta di un modello assistenziale utile per tutti i pazienti che abbiano completato il percorso diagnostico/terapeutico – lo spiega il direttore generale dell’E.O. Ospedali Galliera Adriano Lagostena – ma che necessitino ancora di una continuità assistenziale complessa, di tipo infermieristico, prima del rientro a domicilio o in residenze sanitarie”.

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Il Galliera, sul proprio sito web, segnala ben 1.705 posti liberati (negli altri reparti) in soli sei mesi da questo speciale reparto, che ha naturalmente, come qualsiasi altra corsia ospedaliera, standard di sicurezza elevati.

Abbiamo sentito anche affermare che ”senza medici il reparto è pericoloso”: scusate, ma in un qualsiasi reparto tradizionale, da una certa ora del pomeriggio al mattino seguente, in servizio vicino ai degenti ci sono solo infermieri e (non sempre) Oss, quindi non si tratta di una novità, ma di una consuetudine!
Ciò che conta è che in caso di bisogno, se necessario, un medico sia facilmente attivabile: cosa che in queste strutture è ovviamente prevista.

Veniamo alla figura dell’infermiere di famiglia e di comunità: proprio ieri Nicola Draoli, collega di Grosseto, componente del Comitato centrale della FNOPI (Federazione Nazionale degli Ordini degli Infermieri) è stato ascoltato in Senato sull’argomento.
”Bisognerebbe rivoluzionare il sistema e investire sul territorio. Per questo speriamo che il Ddl sull’infermiere di famiglia diventi legge al più presto”, è stato il messaggio proposto dal collega toscano, che ha portato all’attenzione dei senatori i primi dati delle sperimentazioni attive in Piemonte, Toscana e Friuli Venezia Giulia.

I dati sono incoraggianti: la figura dell’infermiere di famiglia ha portato a un calo del 20% degli accessi per codici bianchi in Pronto soccorso, e a un meno 10% dei tassi di ospedalizzazione.

La figura è prevista dal Patto per la Salute firmato a dicembre, e deve essere normata, e la formalizzazione è fondamentale. Altrimenti si rischia che ogni Regione vari un proprio modello.

L’infermiere di famiglia e di comunità, come la FNOPI vorrebbe fosse chiamato,esiste oggi solo in realtà medio-piccole. In Friuli Venezia Giulia c’è la sperimentazione più antica, con un bacino di riferimento di circa tremila persone a Palmanova e Latisana, dove la soddisfazione dei cittadini-utenti è stata massima, secondo ripetuti riscontri.

“Bisogna allargare il metodo alle metropoli ed evitare conflitti con le altre professioni», spiega Draoli che delinea l’identikit della nuova figura: «Potranno essere infermieri dipendenti ASL, ma nulla vieta di pensare a una collaborazione con liberi professionisti a partita IVA”.

La figura di riferimento sarà quella del Medico di Medicina generale: dovrà essere una figura capillare, presente nelle grandi città come nelle zone meno urbanizzate.

“Nel Ddl sembra quasi che l’infermiere di famiglia sia quell’infermiere che già adesso sta facendo assistenza domiciliare. Invece si tratta di una figura nuova, dovrà fare una serie di interventi prima che insorga il bisogno», spiega ancora Draoli. A livello territoriale non ci sarà un problema di ‘convivenza’ con il medico di base. “Potrebbe integrarsi perfettamente nel ‘microteam’ sollecitato a più riprese dal Segretario FIMMG Silvestro Scotti”, afferma Draoli, e trova tutto il consenso dell’OPI spezzino.

“Basta semplicemente ragionare su una appropriatezza diversa – continua Draoli -. Bisogna cominciare a trasferire risorse, ed a non investire sulla professione infermieristica dove non serve. Ad esempio, non serve a nessuno investire sulla professione infermieristica quando di fatto può bastare una figura meno qualificata”.

Ci piacerebbe molto che, quando si discute di questi temi, venissero ascoltati (anche nei dibattiti dei salotti TV) anche i professionisti direttamente interessati: anche perchè sono davvero parecchie le varie imprecisioni che sentiamo o leggiamo su argomenti complessi, e che -se spiegati male- possono generare ulteriore confusione; ci sembra che non ce ne sia assolutamente necessità, tanto più in questa fase storica complessa.

Fonte: www.cittadellaspezia.com

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Redazione InfoNurse

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