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Cgil pronta a impugnare la Legge di Bilancio: “Infermieri in pensione dopo 46-48 anni di lavoro. Tagli pesanti per i dipendenti pubblici”

La Cgil passa al contrattacco sulle pensioni dei dipendenti pubblici finiti nel mirino dell’ultima Legge di Bilancio. Il sindacato guidato da Maurizio Landini sta infatti valutando azioni legali per profili di incostituzionalità, sostenendo che l’uscita anticipata diventa di fatto impossibile, se non con riduzioni fino al 20% degli assegni.

Per gli iscritti alla Cassa per le pensioni ai dipendenti degli enti locali (Cpdel), alla Cassa per le pensioni dei sanitari (Cps) e alla Cassa per le pensioni degli insegnanti di asilo e di scuole elementari parificate (Cpi) e alla Cassa per le pensioni degli ufficiali giudiziari, degli aiutanti ufficiali giudiziari e dei coadiutori (Cpug) il Governo ha praticamente cancellato la possibilità di lasciare il lavoro in anticipo, mettendo mano alla revisione delle aliquote contributive per coloro che nel sistema retributivo hanno un’anzianità contributiva inferiore a 15 anni.

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Stando ai calcoli del responsabile delle Politiche previdenziali della Cgil nazionale, Enzo Cigna, la revisione potrà determinare tagli importanti sulla quota retributiva di pensione, fino a raggiungere, appunto, il 20%. Un taglio che riguarderà non solo le pensioni anticipate (42 anni e 10 mesi per gli uomini, 41 anni e 10 mesi per le donne), ma anche la pensione dei cosiddetti precoci. In sostanza, denuncia la Cgil, viene fortemente penalizzata l’unica forma di pensionamento in vigore dal 2017 in avanti, che prevede 41 anni di contributi, a prescindere dall’età.

L’unica strada da seguire per non subire la modifica delle aliquote di rendimento è quella del pensionamento di vecchiaia, con almeno 67 anni di età, che per molti rischia però di rappresentare un sacrificio troppo gravoso. Addirittura un peso enorme per coloro che hanno contribuzione previdenziale a cavallo della maggiore età e che, per evitare questo taglio, sarebbero costretti a lavorare fino a raggiungere i 48 anni di versamenti.

Dopo le proteste che hanno accompagnato la predisposizione della manovra, il Governo ha provato a mettere una pezza per i lavoratori pubblici del comparto sanitario, ma questo intervento parziale non cambia il giudizio assolutamente negativo della Cgil. Solo per gli iscritti alla Cps e alla Cpdel che cesseranno l’ultimo rapporto di lavoro da infermieri, il taglio viene infatti parzialmente ridotto in misura pari a un trentaseiesimo per ogni mese di posticipo dell’accesso al pensionamento rispetto alla prima data di decorrenza utile.

“In sostanza – osserva Cigna – il taglio potrà essere azzerato ritardando di tre anni l’accesso alla pensione anticipata (45 anni e 10 mesi per gli uomini, 44 anni e 10 mesi per le donne). Attenzione, però, perché il Governo non è solo intervenuto sulla pensione anticipata, ma ha anche allungato (sempre per queste gestioni) le finestre di pensione (cioè il momento in cui si percepisce realmente la pensione una volta raggiunto il requisito)”.

Quindi, se un infermiere dovesse perfezionare i requisiti per la pensione anticipata (42 anni e 10 mesi, uno in meno per le donne) a gennaio 2025, per evitare totalmente il taglio dovrebbe lavorare altri tre anni, così da arrivare a 45 anni e 10 mesi nel 2028. Sempre che prima non abbia raggiunto l’età della pensione di vecchiaia.

Prima del varo della Legge di Bilancio, per tutte queste categorie era infatti prevista una finestra di tre mesi. A partire dal prossimo anno, invece, scatta un aumento progressivo che aggiunge un mese in più nel 2025, due mesi in più nel 2026, tre mesi in più nel 2027 e ben sei mesi in più nel 2028, quando la finestra d’uscita dal lavoro salirà nove mesi.

Ma a quanto ammontano i tagli? Le simulazioni dell’Ufficio politiche previdenziali della Cgil dimostrano come la riduzione della quota di pensione retributiva per le pensioni anticipate cresce per coloro che hanno meno contribuzione al 31 dicembre 1995.

Con una retribuzione di 30mila euro si passa da un taglio annuale di 927 euro per coloro che hanno iniziato a lavorare nel 1983 fino a 6.177 euro per coloro che hanno iniziato a lavorare nel 1994. Con una retribuzione da 50 mila euro, si passa da un taglio annuale di 1.545 euro per coloro che hanno iniziato a lavorare nel 1983 fino a 10.296 euro per coloro che hanno iniziato a lavorare nel 1994. Infine, con una retribuzione da 70 mila euro si passa da un taglio annuale di 2.235 euro per coloro che hanno iniziato a lavorare nel 1983 fino a 14.021 euro per coloro che hanno iniziato a lavorare nel 1994.

Tali tagli, se proiettati sull’attesa di vita media (20 anni di pensione) diventano ancora più pesanti: per una retribuzione da 30mila euro si va da 18.540 a 123.540 euro. Per una retribuzione da 50mila euro l’impatto è ancora maggiore: da 30.900 a 205.920 euro. E per una retribuzione da 70mila euro si passa da 43.260 euro fino a 288.300 mila euro.

“Sembrerebbe uno scherzo, invece è proprio così – sostiene Lara Ghiglione, segretaria confederale della Cgil -. Il Governo è riuscito nell’impresa clamorosa di peggiorare la Legge Monti-Fornero. La scelta di questo Esecutivo contro le pensioni dei lavoratori pubblici non aveva avuto mai precedenti di questo tipo”. Di qui la decisione di passare alle vie legali e impugnare una norma che il sindacato reputa molto penalizzante per migliaia di lavoratori.

Redazione InfoNurse

Fonte: Nurse Times

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