Essere operatore socio sanitario “il valore di una carezza”
Cosa vuol dire essere Oss? Cosa facciamo? Cosa valiamo? Cosa siamo?
Quante volte mi è stato chiesto…così frequentemente da perderne ormai il conto.
E poi: “ah si! Siete quelli che pulite i culi”. Oppure “Ah, siete infermieri quindi” o “ah si!siete come badanti col diploma”
Bhe, cari miei, si ma no.
Essere OSS vuol dire essere in grado di riconoscere un’infinita di cose e non si tratta solo della pura e (mai troppo) semplice igiene umana ma, di tutta una serie di dettagli che sfugge ad altre persone comuni.
Impari a riconoscere il valore di una carezza, un sorriso, una parola detta nel momento giusto che sembra poco e invece è tutto.
Impari che il prendersi cura dell’altro è un pò come prendersi cura di te, di tutte quelle cose che nella vita ti passano davanti e mai ti sei fermato ad osservare. Impari l’importanza di un “grazie” che, seppur sentito una miriade di volte nel tuo percorso, mai conta come in quel momento.
Impari a riconoscere la morte, a guardarla in faccia, a lasciar andare. E, credetemi, l’odore di qualcosa che sta finendo non te lo puoi scordare mai.
È stupendo e così terribile: non ti viene riconosciuto il valore di questa professione? Ormai è così normale che credi davvero sia così.
Purtroppo c’è così tanta bellezza che viene persa per l’ignoranza di chi non sa comprendere e, di chi, sputa sull’umanità.
Un OSS non è fatto di ferro. Non è indistruttibile. Eppure fa turni estenuanti con uno stipendio misero per una gratificazione che va oltre il tangibile.
Un OSS ha imparato la sensibilità e ha cercato di lavorare su di sé per superare le malelingue dell’ideale comune. Molto spesso è quella persona che dalla vita ha avuto poco e ha scelto di dar tanto. È quella persona che ha scelto di dare per poter ricevere davvero.
È colui che sa prendere per mano sapendo che per accompagnare un cuore che sta soffrendo ci vuole estrema delicatezza. È colui che in un mondo frenetico sa ancora ascoltare, giustificare, comprendere.
Ma, vi prego, non chiamateci eroi se abbiamo solo imparato a essere uomini.
Ed è per questo che ancora oggi quando mi chiedono: perché fai questo lavoro a 25 anni?
Io rispondo che amo questo lavoro perchè non mi costringe a essere macchina ma ad essere persona.
E non c’è niente di più bello.
DILETTA SACCON
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