Lavorare in sanità, lontani da casa in tempi di pandemia

Riceviamo e pubblichiamo una lettera pervenuta alla nostra redazione di un operatore socio-sanitario che decidiamo di pubblicare non solo per la situazione professionale in cui i sanitari si sono ritrovati, modalità che sono state stravolte dall’emergenza, ma anche per sottolineare il senso di smarrimento che la pandemia sta insidiando nell’animo di tutti noi perché colpisce proprio nella socialità, personale e professionale.

Ambrogio, (nomi di fantasia) racconta la sua esperienza col covid-19.
Anzi la loro, lui 31 anni e quella di sua moglie Monica 29 anni.
Lavorano entrambi all’ospedale di Sondrio rispettivamente lui come OSS e Monica come infermiera di PS.

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“Il giorno 21 mi sono ammalato ed è iniziata la trafila di sintomi riconducibili al covid-19, visto che io lavoravo in un reparto covid qui a Sondrio tralasciando le condizioni e le modalità, ad oggi io e mia moglie, entrambi positivi al tampone e con tutti i sintomi del caso quali toracalgia, tosse, perdita di sapore e di odore.

Qui siamo soli perché siamo di origini campane non abbiamo nessuno.

Abbandonati a noi stessi senza che il medico competente si fosse interessato minimamente per la nostra salute tranne che nel dire che dopo i due tamponi se negativi possiamo rientrare a lavoro anche il giorno stesso….mi chiedo: ma senza una tac, senza una visita, con una tosse da cavallo che abbiamo entrambi e difficoltà respiratoria, si può mandare una persona con una polmonite ancora in atto senza nemmeno uno straccio di controllo?

Premetto che io vengo già da 2 broncopolmoniti, senza nemmeno auscultarci bronchi e polmoni, anzi, nemmeno averci mai visto, di nuovo così a lavoro?? lo sconforto é tanto….oltre ad essere qui senza nessun riferimento senza che nessuno sappia se siamo vivi o morti…si parla solo del rientro a lavoro….
Grazie

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Redazione InfoNurse

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