Covid-19: Fine di un incubo
In tutta la mia vita non ho mai vissuto un’esperienza del genere e mai l’avrei immaginato.
Il peggiore degli incubi arriva il giorno 9 novembre. La notte avverto i sintomi: febbre 37,5 e tosse stizzosa.
La mattina seguente mi precipito a Barletta e riesco a fare il tampone.
Il giorno successivo mi comunicano la positività.
Resto a casa in isolamento, la mia famiglia è altrove in un altro alloggio.
Passano i giorni, comincio le cure da protocollo suggerite dal medico di base (Zitromax, cortisone e Tachipirina all’occorrenza), la prima settimana procede con i saliscendi di febbre, mentre la tosse aumenta di intensità, la saturazione non va oltre 92 e arriva l’inappetenza.
Riesco ad interpellare le USCA. Mi visitano a domicilio e mi dicono che il cortisone non andava preso nella fase iniziale perché ha spianato la strada al virus.
Mi correggono il dosaggio e mi dicono di stare a casa per vedere l’evoluzione della malattia.
Guardo la TV e ascolto casi analoghi in cui il tutto si è risolto nel decimo giorno e sono fiducioso.
Purtroppo la situazione precipita: la tosse aumenta e la febbre è sempre più alta e anche la Tachipirina è inefficace.
Sono solo e completamente debilitato e non riesco a stare in piedi.
Interpello chiunque, anche pneumologi che suggeriscono ognuno la sua terapia.
Venerdì 12 novembre: dopo una nottata insonne mi alzo e avverto una fame d’aria pazzesca.
Mi attivo per avere ossigeno.
Un amico fraterno (sempre al mio fianco nella quarantena), mi procura il necessario e la farmacia mi porta una bombola di ossigeno grande.
Mi dicono che ci sono difficoltà nell’approvvigionamento e comunque la scorta fornitami è sufficiente fino al lunedì (con un utilizzo a 2 litri).
Mi accorgo che con 2 litri la saturazione è 88 e continuo a tossire.
Allora alzo il livello a 4/6 e dopo 1 ora ho già consumato 1/4 della bombola.
Inoltre il peso della stessa non mi consente spostamenti. Mi decido a chiamare il 118 per la terza volta.
Le linee sono sempre occupate. Dopo 30 minuti riesco a parlare con un operatore. Arriva un’ambulanza da Spinazzola.
Mi dicono che secondo loro posso restare a casa perché con l’ossigeno saturo bene e che comunque non ci sono posti da nessuna parte.
Insisto con veemenza facendo notare il livello di ossigeno utilizzato che avrebbe portato al consumo immediato della bombola e sottolineo il mio stato di solitudine.
Siamo quasi alla rissa e invito loro a chiamare l’ospedale di Bisceglie.
Si decidono e interpellando la centrale operativa hanno l’ok. Dopo un paio d’ore di attesa mi lasciano su di una barella in un angolo nel corridoio del Pronto soccorso tutto adibito a Covid.
Passo una notte insonne con febbre alta. Il giorno dopo mi trasferiscono nel reparto di subintensiva Covid.
Arrivo su e vedo intorno a me un’equipe di medici, cardiologi, rianimatori e infermieri.
Mi attaccano gli elettrodi e cominciano a fornirmi ossigeno con una maschera diabolica (CPAP) ma indispensabile collegata ad un macchinario di ventilazione con suoni assordanti.
L’ossigeno è a 20 litri con Co2 al 100%, ma nonostante tutto non saturo oltre 92/93.
Comincio a percepire che la situazione è grave e chiedo ad una rianimatrice di essermi franca.
Mi conferma che la situazione è molto complicata perché ho una polmonite interstiziale bilaterale con entrambi i polmoni compromessi, in particolare il destro e che dipende tutto dalla mia forza di reazione.
Passo una notte da incubo con la maschera infernale Cpap che si appanna.
Ho la sensazione di annegare e faccio incubi assurdi.
Penso all’ipotesi estrema della morte e delle conseguenze sulla mia famiglia (mia moglie, mio figlio). Il sol pensiero mi da una forza sovrumana.
Il mattino seguente i monitor segnano una saturazione buona (96). Mi fanno una trasfusione di plasma (3 sacche) nella speranza che abbia effetti benefici.
Nel frattempo accanto alla mia stanza sento morire alcuni pazienti (4). Passano i giorni e la situazione migliora, sebbene sia sempre allettato e a digiuno.
I prelievi di sangue sono un solletico rispetto al prelievo arterioso emogas (una tortura allucinante subita almeno 2 volte al giorno).
Sono perennemente sotto monitoraggio h24 in stile Grande Fratello con sensori e telecamera puntata.
Il livello di ossigeno spinto scende sempre di più e finalmente abbandono la maschera Cpap per passare alla più comoda Venturi.
In seguito mi mettono i cosiddetti occhialini (cannule nasali) con ossigeno a 4 litri.
Dopo 16 giorni, essendomi negativizzato mi dimettono e mi trasferiscono a Canosa nel reparto Post Covid.
Arrivo in condizioni non autonome e con problemi da risolvere. Essendo microcitemico (anemia mediterranea) l’emoglobina è a livelli bassissimi a seguito di tutto il travaglio subito (7,5).
Mi fanno delle trasfusioni di 2 sacche di sangue. L’emogloblina sale a livelli rassicuranti per la mia patologia congenita (10,4).
Comincio a svezzarmi completamente dall’ossigeno, ma rimane la problematica della tosse stizzosa persistente e della febbricola.
Provvedono a sistemarmi tutti i parametri con terapie a base di acido folico, vitamina B12 e cortisone ridotto gradualmente.
La situazione migliora di giorno in giorno e dopo 11 giorni mi dimettono e vado a casa.
Finalmente rivedo la mia famiglia dopo 40 giorni… la sensazione è indescrivibile, emotivamente dura da sostenere ma bellissima.
Mio figlio piange ininterrottamente per la gioia, mia moglie non ha più lacrime… Le ha versate in tutti i giorni passati, nascondendomele mentre mi sosteneva psicologicamente per darmi la forza necessaria per riemergere da questo abisso.
È stata determinante e fondamentale in tutto il mio percorso di risalita. Come prezioso è stato il sostegno ricevuto da parenti (tutti) e amici (tanti) in ogni ora delle interminabili giornate.
So che non è ancora finita del tutto perché devo riabilitarmi dal punto di vista respiratorio e soprattutto sotto l’aspetto fisico (ho perso 11 kg).
Ci vorranno mesi, sperando che la polmonite non abbia lasciato danni permanenti… Ma tutto ciò non mi spaventa. Il peggio è passato. Ora comincia la rinascita.
In tutta questa assurda esperienza, mi sento di ringraziare l’intero reparto di subintensiva Covid di Bisceglie gestito dal Dott. Giuseppe Modugno e il reparto Post Covid di Canosa gestito dal Dott. Pippo Diaferia, tutto lo staff medico e infermieristico, dal primo all’ultimo operatore, ivi compresi gli Oss che hanno surrogato gli affetti familiari in un momento così difficile e delicato di prolungato isolamento, oltreché a fornire tutte le attenzioni di cura personali.
E a tal proposito apro una piccola parentesi: apprendo che il loro contratto scade il prossimo 31 gennaio senza possibilità di rinnovo a seguito di concorsi tenutosi nei mesi precedenti.
Faccio un appello alla Direzione generale ASL Bat e alla Regione Puglia affinché si possa trovare un modo per stabilizzare questi angeli di cura e conforto che hanno messo a rischio la loro vita in un periodo di emergenza pandemica, allorquando era difficile reperire personale in ogni struttura adibita a Covid.
Ritengo che come successo precedemente per altre figure professionali sia giusto dare loro la possibilità di continuare a fornire il loro prezioso apporto in un momento così delicato e pieno di incognite, in cui ogni forza umana è indispensabile per superare le difficoltà sanitarie (Sanitaservice docet).
Mi auguro che questa mio lungo post, questa mia toccante testimonianza, questa mia triste esperienza possa servire a tutti coloro che snobbano il rischio Covid, coloro che disattendono ogni misura di prevenzione (distanzianziamento sociale, mascherina, divieto di assembramento, ecc.) per far sì che abbiano contezza di ciò che questo dannato virus può scatenare.
Io l’ho vissuto in prima persona e vi garantisco che oltre al reale rischio di vita, seppur sconfitto, ha lasciato segni indelebili nel mio corpo e soprattutto nella mia anima.
S. S.
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