”Il nostro lavoro è stato raccontato e romanzato, strumentalizzato e violato”
Siamo alla fine di un anno che ci ha visti come professionisti impegnati a svolgere il nostro lavoro su un palcoscenico mediatico.
Come in ogni Set il nostro lavoro è stato raccontato e romanzato, strumentalizzato e violato.
E’ stato strano dopo trent’anni di professione passare da comparsa a protagonista sulla scena della vita del paese.
Ma nulla di tutto ciò a mio avviso ha minimamente spostato il modo di noi sanitari di vivere il nostro lavoro, dapprima siamo stati lusingati e stupiti di essere visti e poi quasi infastiditi e tutti questi fari della ribalta ci disturbavano.
Ma non c’è stato il tempo di abituarsi che eravamo già tornati ad essere comparse!
Nulla di nuovo in un mondo che non ha memoria sociale e che noi conosciamo bene attraverso le persone che assistiamo ogni giorno, di cui amiamo prenderci cura e verso le quali non abbiamo pretese di riconoscimenti.
Nella sofferenza ognuno di noi mostra il meglio è il peggio di se stesso.
Un particolare di questa terribile pandemia invece ci ha cambiati per sempre. Il Covid-19 ha privato i malati di quei diritti di base che ognuno di noi dava per scontato e che sono i motori del nostro agire quotidiano come professionisti :
-Il diritto a non essere lasciato solo nella sofferenza
-il diritto, di conoscere la propria morte, di preparala, di organizzarla.
-il diritto a tempi di assistenziali degni di questo nome
-il diritto ad una cura efficace
Abbiamo fatto un salto indietro di un centinaio di anni, quando ai parenti e ai genitori dei bambini era negato stare in ospedale.
Quando l’assistenza era per garantire la sopravvivenza e non la cura, quando non c’erano rimedi efficaci a molte malattie.
Abbiamo sperimentato l’impotenza e l’inadeguatezza la mancanza di spazi, tempi e presidi, la paura per la vita dei nostri pazienti, per noi e per quella dei nostri familiari,
Ma più di ogni altra cosa credo sia viva e concreta in ognuno di noi l’immagine della “Solitudine del malato e del morente di covid ”.
Una malattia relegata tra le mura degli ospedali in solitudine , luoghi pensati e progettati per guarire che si sono trasformati in luoghi di morte.
E si e’ trattato, per molti aspetti, di una “morte negata” e noi eravamo lì a fare la differenza.
Questa meravigliosa professione deve fare ancora molta strada per la presa di consapevolezza dell’importante ruolo sociale che ognuno di noi svolge.
La dignità umana da un lato, trascende qualsiasi differenza e riunisce tutti gli esseri umani in una sola famiglia, dall’altro, risulta menomata quando la persona viene privata dei suoi diritti più importanti, degradata a numero o oggetto, a entità sostituibile e sacrificabile, anche se ciò deriva non da scelte ma da circostanze.
Siamo consapevoli dell’importanza dell’imperativo kantiano che muove il nostro agire quotidiano “Agisci in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona, sia in quella di ogni altra, sempre anche come fine e mai solo come mezzo”
La dignità della vita
La dignità della cura
La dignità della morte
Sono nelle mani di noi operatori sanitari da sempre e oggi più che mai.
Cosa c’è più importante di questo nella vita di un essere umano?
Nella risposta c’è il valore del nostro lavoro.
Buone feste colleghi
Nadia Lazzaroni Infermiera Brescia
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